I favolosi Anni 60. Non sempre però...

I favolosi Anni 60. Non sempre però...
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Furono gli anni del boom economico, della grande crescita. All’inizio degli anni Sessanta in campo motociclistico c'era tanta passione, ma ci furono anche molti costruttori che entrarono in crisi. Anche le competizioni ne risentirono
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
9 dicembre 2016

Dopo un’epoca di grandi fasti, sul finire degli anni Cinquanta sulle nostre Case e sullo sport motociclistico nazionale si è improvvisamente abbattuta una forte e imprevista crisi. Dopo il difficile periodo della ripresa postbellica le condizioni economiche erano migliorate, ed erano diventate disponibili vetture utilitarie di basso costo e comodamente acquistabili a rate. Per le moto, mezzi di trasporto assai meno confortevoli e con una ridotta capacità di carico, che avevano dominato la scena negli anni più difficili, era diventata assai dura. Non si vendevano che in numeri estremamente modesti; a salvarsi quindi erano solo le aziende che da un lato avevano una rete commerciale e di assistenza capillare ed efficiente, e dall’altro disponevano di modelli adatti alla rinnovata situazione di mercato. Entro la prima metà degli anni Sessanta sono state costrette a chiudere i battenti aziende importanti, come la Bianchi, la Parilla e la Rumi, mentre altre si sono trovate in serie difficoltà.

 

Ricaduta negativa nelle competizioni

Di questa situazione desolante in campo nazionale era ovvio che risentisse anche lo sport. Per i campionati mondiali stava iniziando un’epoca straordinaria, con l’ingresso in grande stile delle pluricilindriche Honda e con la graduale affermazione dei motori a due tempi, resa possibile dalla tedesca MZ, che aveva indicato una strada poi percorsa fruttuosamente dalla Suzuki e dalla Yamaha. In Italia, però, l’attività sportiva stava vivendo un periodo difficile. I piloti seniores, che correvano con le moto da Gran Premio, bene o male se la cavavano, grazie soprattutto alle gare della “Primavera Romagnola”, che si svolgevano su improvvisati circuiti cittadini adiacenti al mare. Per i piloti juniores però le cose andavano tutt’altro che bene. La passione era tanta, ma in quegli anni i partecipanti alle competizioni erano ben pochi e i mezzi con i quali gareggiavano in molti casi erano allestiti con molta buona volontà, ma lasciavano assai a desiderare sotto l’aspetto della tecnica e delle prestazioni.

Per i campionati mondiali stava iniziando un’epoca straordinaria, con l’ingresso in grande stile delle pluricilindriche Honda e con la graduale affermazione dei motori a due tempi, resa possibile dalla tedesca MZ

Uscite di scena al termine del 1957 la Mondial, la Gilera e la Guzzi, le Case che ancora si impegnavano nel campionato mondiale erano ridotte alla MV Agusta e alla Benelli, alle quali si aggiungevano, più o meno saltuariamente, la Morini e la Bianchi (che, sempre più in crisi sotto l’aspetto economico, si stava avviando alla chiusura). In ambito nazionale, mentre stavano scomparendo le classi 100 e 75, facevano qualcosa con modelli derivati dalla serie, destinati ai piloti juniores e alle gare in salita, solo la Motobi e la Aermacchi, alle quali si aggiungeva (per qualche tempo) la Demm. Si trattava in ogni caso di un numero molto limitato di moto e di un impegno decisamente modesto, in attesa di tempi migliori.
La Morini aveva portato al limite l’evoluzione del suo Settebello 175, e la Ducati, dopo aver costruito un ridottissimo numero di moto di “Formula Tre”, si era defilata, cessando l’attività agonistica ufficiale. La decisione era venuta dall’alto, e tanto l'ingegner Taglioni quanto gli uomini del reparto esperienze, a cominciare da Franco Farnè, avevano dovuto a malincuore smettere di lavorare sulle moto da competizione. Ma a Borgo Panigale il fuoco covava sotto la cenere…

 

Corse fai da te

In salita i piloti della 500 usavano anche moto da Gran Premio, ma per la loro classe non c’era ancora un campionato della montagna. Qui vediamo Emanuele Maugliani in mezzo ai vigneti impegnato in una gara laziale con la sua Gilera Saturno
In salita i piloti della 500 usavano anche moto da Gran Premio, ma per la loro classe non c’era ancora un campionato della montagna. Qui vediamo Emanuele Maugliani in mezzo ai vigneti impegnato in una gara laziale con la sua Gilera Saturno

Chi voleva correre e non poteva contare su di una moto ufficiale o assistita da un concessionario, si doveva arrangiare. Per fortuna alcuni costruttori fornivano parti speciali per potenziare i loro motori (alberi a camme più spinti di quelli di serie, pistoni ad alta compressione, tubi di scarico con terminale a megafono) e per quanto riguarda la parte ciclistica erano reperibili ottimi freni da competizione (Amadori e Oldani inizialmente e in seguito Fontana e Ceriani), forcelle e ammortizzatori assai simili se non eguali a quelli utilizzati dalle moto da corsa ufficiali.

Per alcune case italiane sono state una grande risorsa le esportazioni negli USA. L’Aermacchi addirittura era per metà di proprietà della Harley-Davidson (dal 1960) e diversi suoi modelli erano nati specificamente per il mercato americano. Le sue monocilindriche ad aste e bilancieri sono state sviluppate anche in versioni da competizione (Ala d’Oro), che nella prima metà degli anni Sessanta hanno iniziato a diffondersi anche a livello internazionale tra i piloti privati nelle classi 250 e 350. Avevano importanti importatori negli USA sia la Ducati (Berliner) che la Benelli (Cosmopolitan Motors, che per diverso tempo ha importato le Parilla).

Svariate gare hanno continuato a essere vinte da piloti che utilizzavano moto nate diversi anni prima. Ancora nel 1963 il campionato seniores nella classe 125 è stato conquistato da Francesco Villa con una Mondial bialbero costruita nel 1957. E Gli ultimi campionati della montagna della classe 75 sono stati conquistati da mezzi che risalivano a oltre dieci anni prima (Laverda, Ceccato e Itom, rispettivamente nel 1964, 1965 e 1966).

La situazione ha iniziato a cambiare solo attorno alla metà degli anni Sessanta, quando anche il mercato nazionale ha cominciato a dare segni di risveglio. E le cose, per i piloti e i costruttori, hanno preso una piega ben diversa.