Suzuki compie 100 anni: 10 moto per festeggiarla

Suzuki compie 100 anni: 10 moto per festeggiarla
Maurizio Gissi
  • di Maurizio Gissi
Suzuki è stata fondata nel 1909 ma nel marzo del 1920 cambiò nome e ampliò la produzione. Dal primo motore ausiliario del 1952 a oggi ci sono stati tanti modelli di successo, vediamone dieci che sono stati innovativi e apprezzati
  • Maurizio Gissi
  • di Maurizio Gissi
22 marzo 2020

Il 15 marzo scorso Suzuki ha compiuto 100 anni. O meglio, cento anni sono trascorsi dalla costituzione della Suzuki Loom Manufacturing Co. perché la nascita della società originaria risale, come è noto, al 1909 quando l'allora ventunenne Michio Suzuki fondò la Suzuki Loom Works.

Michio era nato da una famiglia di agricoltori in una regione dove l'industria tessile era attiva dal 1700. Apprendista carpentiere, costruì un telaio a pedale in legno e metallo per sua madre e questo segnò la sua strada come imprenditore.

 

Michio Suzuki
Michio Suzuki

La crisi economica che seguì la prima guerra mondiale provocò il crollo della borsa di Tokyo e il fallimento di molte aziende.
Nella confusione generale, Michio cercò di cogliere nuove opportunità trasformando la sua piccola azienda in una società per azioni, la Suzuki Loom Manufacturing. Cercò di costruire anche un'automobile per diversificare la propria attività, ma il progetto si fermò al prototipo del 1937 a causa dell'entrata del Giappone nel secondo conflitto mondiale.

Gli anni della ricostruzioni furono ancora più duri rispetto al primo dopoguerra. Michio Suzuki, come fecero altri compreso un certo Soichiro Honda, cercò di rispondere alla nuova esigenza di mobilità costruendo nel 1952 il Power Free, un motore ausiliario per bicicletta di 36 cc.

Approfittando delle sue conoscenze nella lavorazione del metallo, acquisita con la costruzione dei telai tessili, Suzuki vendette nel 1953 la Diamond Free: una bici motorizzata con un motore due tempi di 60 cc e 2 cavalli di potenza.
L'anno dopo fu la volta della prima moto vera, la Colleda CO, con motore di 90 cc. Corse, vincendola, la cronoscalata del Monte Fuji e quel risultato fu il miglior modo per far conoscere le moto Suzuki in Giappone.

Sempre nel 1954 la società cambia il nome in Suzuki Motor Co. Ltd., mettendo le basi per la nuova produzione di automobili.

La ripresa economica degli anni Sessanta cresce assieme alla domanda di nuovi prodotti, creando l'opportunità per lo sviluppo di attività nuove: nel 1971 è la volte delle motoslitte, delle barche e degli spazzaneve Suzuki.

Ma già negli anni Sessanta la produzione motociclistica conta su tanti modelli di piccola e media cilindrata, Suzuki partecipa alle competizioni della velocità, mentre il mercato americano ha fame di moto.
Sarà quella la spinta alla crescita di tante aziende, comprese le quattro giapponesi rimaste in vita dopo una dura selezione interna. Suzuki si fa notare con la bicilindrica a due tempi 500 Titan del 1967, un modello che arriverà anche in Italia.

Il mercato americano diventa il primo al mondo accelerando la nascita delle moderne maxi moto.

1967 - Suzuki 500 Titan
1967 - Suzuki 500 Titan

Fra queste c'è la Suzuki GT750, una raffinata tre cilindri due tempi con raffreddamento a liquido presentata nel 1971, una stradale da 67 cavalli in grado di accelerare forte e superare i 180 orari. Sarà la base per versioni da gara, come la Vallelunga nota da noi.

Nel 1971 arriva anche la TM 400 da cross e Roger De Coster (con la RN 71) vince il mondiale motocross 500, mentre il compagno di team Joel Robert è campione del mondo nella classe 250.

1971 - Suzuki GT 750
1971 - Suzuki GT 750

Nel 1974 si fa notare la Suzuki RE5, prima moto giapponese di serie con il motore Wankel. Il design è firmato da Giorgetto Giugiaro che con Suzuki avrà una importante collaborazione nel settore auto.

Nel 1976 nascono le prime Suzuki a quattro tempi, la quattro cilindri in linea GS750 (che fa iniziare la collaborazione con il preparatore Pop Yoshimura) e la bicilindrica parallela GS400.
Appena due anni dopo è la volta della prima maxi da un litro di cilindrata, la GS1000: una versione preparata da Yoshimura si impone alla 8 Ore di Suzuka guidata dagli americani Mike Baldwin e Wes Cooley. Nel 1978 Cooley vince il campionato AMA Superbike con la GS1000 e l'anno dopo va in vendita la GS1000S, dotata di cupolino, proprio in omaggio al titolo vinto; diventa la prima Suzuki di serie carenata, anche se parzialmente.

Nel 1980 nascono le prime motorizzazioni bialbero e quattro valvole per cilindro che inizieranno la serie GSX.

1971 - Suzuki TM 250 e TM 400
1971 - Suzuki TM 250 e TM 400

Con il quattro cilindri 1100 è presentata nel 1981 la GSX1100S Katana, ci sarà anche in versione 750, un modello di vera rottura nello stile motociclistico che si deve a Jan Fellstrom, dello studio Target Design.
Con linee del tutto simili venne lanciata nel 1983 anche la XN85 Turbo: la Suzuki con motore sovralimentato, un quattro cilindri di 673 cc e 85 cavalli di potenza.

Nel frattempo Suzuki vince il mondiale velocità 500 nel 1976 e 1977, con Barry Sheene, poi nell'81 con Marco Lucchinelli e l'anno dopo con Franco Uncini. Un buono motivo per ritornare al motore a due tempi con la RG 250 Gamma, bicilindrica in linea del 1983.

1981 - Suzuki GSX1100S Katana
1981 - Suzuki GSX1100S Katana

Ma è soprattutto con la GSX-R 750 del 1984 che Suzuki dà il via al filone delle moderne race-replica. La 750 a quattro cilindri i linea, con raffreddamento aria e olio SACS, ha telaio in lega di alluminio, estetica e ciclistica ispirate alle competizioni. Con 106 cavalli e 176 kg di peso a secco stabilisce nuovi parametri di riferimento per la categoria supersport.

Appena un anno dopo, nell'85, Suzuki cala una coppia d'assi: sono la quattro cilindri, in quadrato, a due tempi RG 500 Gamma e la quattro cilindri in linea a a quattro tempi GSX-R 1100 che sarà presentata fine anno.

1984 - Suzuki GSX-R 750
1984 - Suzuki GSX-R 750

La 500 Gamma adotta le stesse misure caratteristiche della 500 da gran premio, eroga 95 cavalli a 9.500 giri e pesa 158 kg a vuoto. Sarà la più efficace della sua categoria e resterà in produzione più a lungo delle rivali Yamaha e Honda.

La GSX-R 1100 estremizza verso l'alto il concetto della 750 lanciata poco prima, ha cilindrata 1.052 cc, raffreddamento aria e olio, potenza di 130 cavalli e peso a secco di 197 kg; le ruote sono da 18 pollici, sfiora i 250 orari e copre il quarto di miglio in 10,7”.

1985 - Suzuki RG500 Gamma
1985 - Suzuki RG500 Gamma

Gli anni Ottanta sono anche quelli che vedono il successo della Paris-Dakar e con quella l'arrivo delle nuove moto africane. Suzuki presenta nel 1987 la DR 750S Big, una monocilindrica che sfata i limiti di cubatura previsti per un motore di tale configurazione: ben 727 cc e con un alesaggio record di 105 mm.

La distribuzione è monoalbero e quattro valvole, il raffreddamento aria-olio, ci sono l'avviamento elettrico, il contralbero di equilbratura e la potenza raggiunge i 50 cavalli a 6.800 giri. Ha sospensioni di lunga escursione, ruote da 21 e 17 pollici, e serbatoio da 29 litri di capacità. Una versione da gara parteciperà alla Dakar con Gaston Rahier e lancia il disegno del parafango anteriore a becco.

1987 - Suzuki DR750S Big
1987 - Suzuki DR750S Big

Con la GSF400 Bandit, del 1989, Suzuki è poi fra le apripista nel filone della nascente categoria naked, e lo fa con un'estetica ancora una volta originale.

Tra la fine degli anni Settanta, e nel decennio degli Ottanta, Suzuki mostra la sua migliore fantasia creativa e capacità di innovazione tecnica.

Gli anni Novanta le novità di fatto proseguono nel solco tracciato il decennio prima, e mentre la serie GSX-R si è evoluta ed arricchita della versione 600, in Giappone già c'erano le 250 e 400, nel 1999 Suzuki passa alla ribalta con la sua Hayabusa. Il nome è quello del falco pellegrino in giapponese e viene scelto per la rapidità del rapace quando è in picchiata. La Hayabusa ha forme particolari, stabilite più in galleria del vento che al tavolo da disegno.

1989 -Suzuki GSF 400 Bandit
1989 -Suzuki GSF 400 Bandit

La GSX1300R, questa la sua sigla, sarà la prima moto di serie a superare i 300 orari di velocità effettiva (308 km/h per la precisione), lo fa grazie ai 175 cavalli del suo quattro cilindri – raffreddato a liquido – e grazie appunto alla sua forma aerodinamica.
Il motore di 1.298 cc è infine così grosso di cubatura e robusto che si presta a essere elaborato e utilizzato lungamente nelle gare di accelerazione.

1999 - Suzuki GSX1300R Hayabusa
1999 - Suzuki GSX1300R Hayabusa

Un piccolo passo indietro, al 1997, quando Suzuki entra nel segmento delle bicilindriche a V sportive che Ducati ha fatto apprezzare nel mondo. La TL 1000S è una semicarenata dalle linee vagamente simili alla Hayabusa (che poi hanno una radice nel concept Nuda del 1987) e soprattutto ha un motore eccellente. Il suo V2 di 90° è un bialbero e quattro valvole raffreddato a liquido di 996 cc (vi dice niente questo numero?), eroga 125 cavalli a 8.500 giri e la ciclistica si basa su un telaio a doppio trave in lega d'alluminio con un disegno a traliccio che fa anche quello un po' Ducati.

Le prestazioni sono ottime e l'anno dopo si comprende meglio l'operazione Suzuki quando arriva la TL1000R, versione carenata e potenziata con la quale Suzuki vuole schierarsi nel mondiale Superbike.

1989 - Kevin Shwantz con la RGV500
1989 - Kevin Shwantz con la RGV500

Quella moto di rivelerà però poco competitiva, ma il motore continuerà a piacere sulla serie SV1000, che sarà poi declinata nella più piccola versione SV 650. Entrambe, specie la più piccola, avranno un buon successo globale. I propulsori V2 1000 e 650 motorizzeranno poco, siamo agli inizi degli anni Duemila, le V-Strom 1000 e 650.

Nel 2001 arriva la nuova generazione della GSX-R con motore 1000 raffreddato a liquido: 988 cc, 160 cavalli a 11.000 giri e una ciclistica molto efficace. Diventa la super sportiva da battere e viene eletta moto dell'anno in molti paesi.

2005 - Suzuki GSX-R 1000 K5
2005 - Suzuki GSX-R 1000 K5

La seconda versione arriva nel 2005, è la GSX-R 1000 K5 e rimarrà una delle più riuscite fra tutte le Gixxer. Sono ridisegnati il motore (salgono a 178 i cavalli erogati) e il telaio diagonale d'alluminio. Il peso è dichiarato in soli 166 kg a secco.

Il resto è storia recente.