Trapianti vincenti: quelli di Aprilia, Cagiva e Laverda

Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Anche case grandi e famose hanno adottato motori costruite da altri marchi. Vedi ad esempio la super sportiva Aprilia RS250 o la naked Cagiva Raptor (quarta e ultima parte)
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
25 aprile 2021

Negli anni Settanta la Laverda ha vissuto un autentico periodo d’oro.
Le sue bicilindiriche di 750 cm3 e le tricilindriche 1000 si stavano vendendo molto bene ma la direzione della azienda ha giustamente pensato di allargare la gamma con modelli di cilindrata minore. Inizialmente ci si è orientati verso il fuoristrada, con la Chott 250, che però non ha ottenuto buoni risultati commerciali.

Anzi, è stata un autentico fiasco. Occorreva qualcosa di decisamente più specialistico e con una cilindrata che potesse maggiormente ottenere il consenso gli appassionati. È stato così raggiunto un accordo con la svedese Husqvarna, casa motociclistica che da tempo aveva concentrato le sue attività proprio nel settore off-road, ottenendo eccellenti risultati.
È così nata la Laverda Husqvarna LH 125, azionata da un monocilindrico a due tempi raffreddato ad aria, con aspirazione lamellare e cilindro a quattro travasi, le cui misure caratteristiche erano 55 x 52 mm.

La moto, entrata in produzione nel 1976 ha destato subito ottime impressioni per le valide caratteristiche e le ottime prestazioni, al punto che la Laverda ha rapidamente deciso di affiancarle anche una gemella di 250 cm3, sempre con motore fornito dalla azienda svedese.
L’ultima versione di questo interessante modello risale al 1979.

In seguito la Laverda ha focalizzato le sue attenzioni sulle stradali di 125 cm3, che stavano avendo un notevole successo tra i giovani.
Per il motore si rivolse a una gloriosa casa tedesca che aveva sempre legato il suo nome a realizzazioni di elevato livello tecnico, la Zundapp. Nel 1977 venne così raggiunto un accordo per la fornitura di motori di 125 e 175 cm3 come quelli impiegati sui modelli tedeschi, che sarebbero stati montati su una nuova ciclistica interamente italiana.

La nuova moto, contrassegnata dalla sigla LZ, è stata presentata al salone di Milano del 1977 ed è entrata in produzione l’anno seguente. La cilindrata di punta naturalmente era la 125, il cui motore, dalle dimensioni perfettamente quadre (54 x 54 mm), erogava 16,5 CV a 7600 giri/min. Il raffreddamento era ad acqua, con circolazione a termosifone, e l’aspirazione veniva controllata dal pistone.
Il cambio, come da tempo nella tradizione della Zundapp, era a espansione di sfere. Si trattava di una robusta e versatile tuttofare, senza particolari velleità sportive ma in grado di fornire comunque buone prestazioni, che è stata accolta assai favorevolmente dal mercato.
La produzione è terminata nel 1985.

La versione di 175 cm3 (alesaggio e corsa = 62 x 54 mm) è stata costruita in numeri notevolmente minori.

La Laverda Zundapp LZ 125 ha avuto un notevole successo. Non era una supersportiva ma aveva prestazioni brillanti, era robusta e piacevole da guidare. Il telaio era a doppia culla continua e le ruote in lega di alluminio con freno a disco sull’anteriore
La Laverda Zundapp LZ 125 ha avuto un notevole successo. Non era una supersportiva ma aveva prestazioni brillanti, era robusta e piacevole da guidare. Il telaio era a doppia culla continua e le ruote in lega di alluminio con freno a disco sull’anteriore

Attorno alla metà degli anni Novanta l’Aprilia era ormai da tempo divenuta una delle più importanti realtà del settore motociclistico sia come volumi di vendita che come livello tecnico delle sue realizzazioni. In campo agonistico stava ottenendo grandi affermazioni nelle classi minori e, per quanto riguarda i modelli stradali, le sue ottavo di litro spopolavano tra i giovani. Pure le enduro, costruite anche con motori a quattro tempi di considerevole cilindrata, si vendevano molto bene.

Mancava una 250 sportiva realizzata in modo da richiamare, sia come estetica che come ciclistica, il modello da Gran Premio. Occorreva un motore adatto, che i tecnici di Noale hanno ben presto individuato in quello della Suzuki RGV 250.
È stato così raggiunto un accordo con la casa giapponese per la fornitura di questi bicilindrici ed è nata la Aprilia RS 250 che, nonostante il fatto che le stradali di questa cilindrata non avessero un ampio mercato, ha avuto una buona diffusione ed è stata costruita fino al 2002.
Inutile dire che andava fortissimo…

Il motore Suzuki, che nella versione della Aprilia presentava lievi differenze a livello di cilindri ed era abbinato a nuovi scarichi, aveva un alesaggio di 56 mm e una corsa di 50,6 mm; l’architettura era a V di 90°. I cilindri erano dotati di cinque travasi e la luce di scarico era divisa in due parti da un traversino centrale.
La potenza era dell’ordine di 65 cavalli, davvero tanti per una quarto di litro stradale.

Nella ciclistica della Aprilia RS 250 spiccava il telaio a doppia trave portante realizzato in lamiere di lega di alluminio 5083 (una volta nota come Peraluman) opportunamente sagomate e quindi unite mediante saldatura.

Con la RS 250 l’Aprilia ha offerto agli appassionati una autentica versione stradale della sua straordinaria quarto di litro da Gran Premio. Il motore però non era di origine Rotax, con aspirazione controllata da disco rotante, ma Suzuki, con ammissione lamellare
Con la RS 250 l’Aprilia ha offerto agli appassionati una autentica versione stradale della sua straordinaria quarto di litro da Gran Premio. Il motore però non era di origine Rotax, con aspirazione controllata da disco rotante, ma Suzuki, con ammissione lamellare

Anche la Cagiva a un certo punto della sua storia ha adottato motori Suzuki. In questo caso però si trattava di bicilindrici a quattro tempi di grossa cilindrata, montati sul modello Raptor, costruito in varie versioni tra il 2000 e il 2006. Le più significative erano dotate del potente bialbero della TL 1000 della casa giapponese.

La Cagiva Raptor è stata proposta anche con motore 650, sempre costruito dalla Suzuki e sempre con i cilindri a V di 90°. L’eccellente ciclistica, basata su di uno splendido telaio a traliccio in tubi di acciaio, assicurava superlative doti di guida
La Cagiva Raptor è stata proposta anche con motore 650, sempre costruito dalla Suzuki e sempre con i cilindri a V di 90°. L’eccellente ciclistica, basata su di uno splendido telaio a traliccio in tubi di acciaio, assicurava superlative doti di guida

In questo motore i due cilindri, che avevano una struttura closed deck e le canne integrali con riporto al nichel-carburo di silicio, erano disposti a V di 90°.
Le quattro valvole alloggiate in ogni testa avevano un diametro di 40 mm alla aspirazione e di 33 mm allo scarico. L’albero a gomito era monolitico e lavorava interamente su bronzine. L’alesaggio di 98 mm era abbinato a una corsa di 66 mm e la potenza veniva indicata in 110 CV a 8500 giri/min.

Assai interessante è stata anche la Raptor 650 azionata dal bicilindrico della eccellente SV 650 erogante 75 cavalli. La casa varesina ha anche costruito una Raptor 125 che utilizzava il monocilindrico a due tempi della Mito.

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